giovedì 15 novembre 2007

STORIA DELLA DETERGENZA

STORIA DELLA DETERGENZA
I primi detersivi utilizzati dall’uomo furono molto probabilmente le argille e, dopo la scoperta del fuoco, le ceneri vegetali.
Le ceneri vennero utilizzate a scopo di detersione fino all’inizio del XX secolo. Le lavandaie usavano le ceneri di legni dolci, le mescolavano con acqua, e le filtravano con tele o sacchi dopo aver fatto decantare le impurezze.
Poiché le ceneri sono ricche di carbonati, silicati, solfati (oltre che di cloruri e fosfati) di metalli alcalini ed alcalino-terrosi le lavandaie eseguendo questa “lisciviazione” non facevano altro che estrarre dalle ceneri i sali alcalini solubili.

L’azione detergente delle acque da loro
utilizzate era, dunque dovuta alla loro “alcalinità” e alla presenza di sostanze che si comportavano (anche se in modo più blando) come gli additivi che si aggiungono oggi ai
moderni detersivi (ad es. agenti antiridepositanti dello sporco).

L’ origine del sapone vero e proprio non si conosce con precisione anche se la tecnologia
per fabbricarlo era nota fin dall’antichità. Le liscivie alcaline ottenute da cenere di legnovenivano, infatti, utilizzate per la saponificazione di sego o di scarti di grassi animali o di oli vegetali.

Già nel 600 a.C. i Fenici riuscivano ad ottenere un materiale cagliato bollendo grasso di capra con estratti di legno di frassino. Gli Egizi invece mescolavano un alcali con
un olio ottenendo una specie di sapone. Tale metodo era noto anche in Palestina tanto che l’utilizzo delle liscive viene menzionato nella Bibbia ( Da Malachia Capitolo 3 della
Bibbia:” Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire?
Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai”). I Greci utilizzavano liscivie sodiche per saponificare oli vegetali, tuttavia come in tutto l’Oriente ricorrevano alla terra da follone oppure ad una saponaria per il lavaggio della lana.
I Romani infine usavano liscivie potassiche per ottenere sapone da grassi animali (quali ad esempio il grasso di
capra). Questi precursori dei saponi erano in realtà degli impiastri usati soprattutto come cosmetici.

L’uso del sapone a scopo detersivo, infatti, cominciò a diffondersi soltanto nel diciottesimo secolo. C’è da notare comunque alla base della loro produzione c’era la stessa
reazione che al giorno d’oggi i moderni fabbricanti di saponi applicano su scala industriale.


TERRA DA FOLLONE E SAPONARIE


Per la detersione di tessuti (lana) si ricorreva (come sopra citato), all’ argilla cosiddetta smettica, che possiede la curiosa proprietà di assorbire energicamente gli oli e le sostanze grasse debolmente aderenti alle stoffe e che può, poi, essere facilmente rimossa con acqua (questa argilla non forma infatti una “pasta” , ma si disgrega in polvere fine). L’argilla
smettica è più nota come terra da follone (o Pietra a staccare o ancora terra del soldato).
La ragione della curiosa proprietà che mostrano le argille nell’adsorbire sostanze grasse
risiede nella loro struttura chimica caratterizzata da due strati tetraedrici contenenti atomi di Silicio ed Ossigeno tra i quali è contenuto uno strato ottaedrico costituito di Alluminio ed Ossigeno.
I vertici dei tetraedri sono rivolti verso il centro della struttura le cui parti superiori ed inferiori sono costituite da atomi di Ossigeno complanari. Tra due unità strutturali adiacenti si possono inserire molecole estranee quali ad esempio acqua o molecole organiche. Le molecole intrappolate nel reticolo causano un’espansione di quest’ultimo che risulta
reversibile a patto di poter allontanare le molecole inglobate.
Un’altra valida alternativa per la pulizia dei tessuti era costituita da sostanze, le saponine, ricavate da particolari tipi di piante quali:


1 ) il Sapindus surinamensis (appartenente alla famiglia delle sapindacee) noto come albero del sapone e diffuso soprattutto nelle Antille. L'arillo del frutto e le radici di
questa pianta sono particolarmente ricche di saponine e venivano sfruttate dai Pellirosse americani come sapone;

2 )la Saponaria officinalis (appartenente alla famiglia delle cariofillacee) specie erbacea
perenne diffusa in Europa ed Asia, alta da 30 a 60 centimetri. Le foglie sono verde vivo,ovali-lanceolate. Il rizoma della saponaria, e in minor misura tutta la pianta, contiene
una notevole percentuale di saponina che produce abbondante schiuma; prima della diffusione dei detersivi di sintesi, dalla saponaria si ricavava un'ottima polvere per lavare
(il nome deriva dal latino sapo, sapone per ricordare le proprietà detersive della pianta).


Ma cosa sono le saponine?


Le saponine sono dei glucosidi , cioè, molecole formate da uno zucchero e da una
parte “non glicidica” detta aglicone (“senza zucchero”) legata allo zucchero tramite un legame etereo. L’aglicone di una saponina è generalmente uno steroide o un triterpene e viene chiamato sapogenina , mentre lo zucchero è generalmente costituito da glucosio, galattosio o da un pentosio, o un metilpentoso. Poiché nello zucchero il legame può essere sopra o sotto il piano della molecola, si chiamano â -glucosidi quelli
in cui è sopra ed á -glucosidi gli altri. Le saponine sono composti generalmente incolori e amorfi (difficilmente cristallizzabili), solubili nell'acqua, di cui modificano la tensione superficiale (in misura minore dei saponi), generando schiuma e rendendola capace di emulsionare sostanze insolubili, come gli oli (formano emulsioni olio in acqua), gli
idrocarburi, le resine. Entrano nella composizione di alcune liscivie, di shampoo, saponi da barba, liquidi estintori, etc. Il legame tra lo zucchero e l'aglicone può scindersi per
idrolisi acida o per azione di enzimi. L'idrolisi libera uno o più spesso vari monosaccaridi,accanto a una sapogenina spesso cristallizzabile. ZLe figure 1 e 2 mostrano un esempio
di saponina la Dioscina contenuta nella Dioscorea tokoro appartenente alla famiglia
delle Dioscoreaceae ed il rispettivo aglicone (sapogenina) la Diosgenina.




Le prime produzioni industriali del sapone – l’idrolisi dei glicereridi

La reazione che sta alla base della produzione dei saponi è L’IDROLISI DEI GLICERIDI.
I gliceridi sono grassi o meglio, chimicamente parlando, dei triesteri (più spesso chiamati trigliceridi o triacilgliceroli) derivanti da acidi carbossilici e glicerina.
Inizialmente le produzioni industriali utilizzavano gli scarti dell’olio di oliva per cui le prime saponerie sorsero in zone coltivate ad ulivi. Successivamente, nel periodo medievale, altre materie prime quali olio di cocco, di palma ed altri grassi di origine vegetale ed animali importati dall’India, dall’Australia e dal Sud Africa acquisirono sempre più importanza e le saponerie, si spostarono verso le zone portuali più importanti del sud Europa, da principio Genova e Marsiglia, poi Savona e Venezia.
Anche in Inghilterra l’industria saponiera si sviluppò rapidamente grazie ai nuovi processi di fabbricazione del carbonato di sodio
secondo il famoso metodo Solvay (nella produzione industriale il carbonato di sodio era il precursore della soda, materia prima per la fabbricazione di sapone).

Fu Michel-Eugène Chevreul (1786-1889) il primo chimico a riconoscere nel 1823 che il
processo di fabbricazione del sapone portava alla formazione di glicerina e che il materiale
saponoso era costituito dal sale dell’acido grasso e non dall’acido grasso come si era ritenuto prima di lui. Famosa rimane le sua opera “Recherches chimiques sur les corps gras
d'orgine animale".

Nella moderna industria saponiera, il grasso viene idrolizzato a caldo con l’idrossido di Sodio, mentre la precipitazione del sapone viene favorita aggiungendo del sale. Dal liquido
si recupera per distillazione la glicerina, che trova largo uso nei settori farmaceutico e cosmetico per le sue proprietà umidificanti (dovute ai gruppi ossidrili –OH che si legano
con legami idrogeno all’acqua e ne prevengono l’evaporazione).
Un sapone è, dunque, costituito da un’ estremità polare (--COO . ) solubile in acqua e da una catena idrocarburica (R), idrofoba e solubile nei composti apolari (ad es. oli);
quest’ultima, come già accennato, può contenere da 3 (C3) a 18 (C18) atomi di carbonio,tuttavia vengono usualmente preferite catene aventi un numero di atomi di carbonio
compreso tra 12 e 18. Catene troppo lunghe producono saponi poco solubili, viceversa si ottengono saponi irritanti e dalle scarse proprietà detergenti.

Una soluzione saponosa, dunque, non può considerarsi una vera soluzione in cui le molecole di soluto vagano separatamente e per conto loro, bensì una “dispersione”: il sapone risulta, infatti, disperso sotto forma di ammassi sferici, le micelle, ognuna delle quali può contenere centinaia di molecole di sapone.

L’importanza del sapone sta nella sua capacità di emulsionare lo sporco di natura grassa formando micelle intorno al grasso:
la parte idrocarburica non polare del sapone,
infatti, si scioglie in sostanze apolari quali ad esempio una goccia d’olio , mentre l’ estremità polare si rivolge verso l’acqua (un solvente polare).


Detersivi sintetici


Il primo detersivo sintetico fu ottenuto da Jean Baptiste Dumas (1800-1884) ed Eugène Melchior Peligot (1811-1890) nel 1836. Si trattava di un etere solforico dell’acol cetilico.
Tuttavia, già cinque anni prima Edmond Fremy (1814-1894) aveva solfonato vari oli.
Durante questo periodo Chevreul aveva chiarito i meccanismi della fabbricazione del sapone dando grande impulso all’industria saponiera accentuata fra l’altro dal processo
messo appunto nel 1790 da Nicolas Leblanc (1742-1806) per la preparazione del carbonato di sodio (precursore della soda caustica).
La scarsità di materie grasse durante la prima guerra mondiale (1914-1918) portò alla ricerca di detersivi sintetici.

Uno dei primi, fu il Nekal, solfonato di alchilnaftalene, prodotto in Germania nel 1916. Il gruppo alchilico era composto da 3 atomi di carbonio (gruppo propile) o da 4 atomi di carbonio (gruppo butile).
Il potere detergente non era elevato, ma la sintesi di questo composto ha dato il via
all’industria dei detersivi sintetici. Nel 1930 H. Th. Boehme ottenne il solfonato dell’alcol laurilico, messo per la prima volta in commercio col nome di CANDIDOL e, in Italia col
nome di Lauril. Il solfonato dell’alcol laurilico, preparato per idrogenazione degli esteri di acidi grassi contenuti nell’olio di cocco, era dotato di un ottimo potere disperdente,
emulsionante, detergente e schiumogeno e non dava luogo a precipitazioni in presenza di acque dure (ovverosia i suoi sali di Calcio e Magnesio risultavano solubili,contrariamente a
quanto accade per i saponi).
L’unico neo era rappresentato dalla scarsa stabilità in
ambiente acido.
Nel 1942 gli americani, partendo non da acidi grassi naturali, bensì dagli idrocarburi di petrolio prepararono i primi detersivi completamente sintetici: gli alchil-aril solfonati di
Sodio aprendo così la via alle più svariate sintesi di detergenti.

I moderni detersivi, o per meglio dire in termini chimici, tensioattivi vengono suddivisi in 4 diverse classi:


1) Tensioattivi anionici:
vengono così chiamati in quanto in acqua si presentano sottoforma di ioni dotati di carica negativa. Tra questi i più noti sono gli alchilbenzensolfonati (o più genericamente alchil arilsolfonati) , gli alchilsolfati, e gli alchileterisolfati.
I primi sono prodotti per reazione del benzene in presenza di un adatto catalizzatore acido con una olefina, ad es. il cosiddetto dodecene. Si ottiene un dodecilbenzene che, trattato
con acido solforico e poi con soda, dà origine al dodecilbenzensolfonato di sodio (presente nei detersivi per piatti e per bucato) .
C’è da sottolineare che i primi alchil benzenlsolfonati
(ABS) messi in commercio dimostrarono scarsa biodegradabilità in quanto presentavano
una catena alchilica fortemente ramificata. Ai batteri risulta, infatti, più facile degradare,metabolizzandole catene lineari piuttosto che catene in cui gli atomi di carbonio non sono
legati ad atomi di idrogeno. Per tale motivo gli alchilbenzensolfonati attualmente utilizzati presentano catena lineare (e vengono indicati con la sigla LAS).

2) Tensioattivi cationici:
I tensioattivi cationici sono così chiamati in quanto in soluzione liberano composti dotati di carica elettrica positiva (cationi).
Il loro potere detergente è limitato ma la particolarità di questo tipo di tensioattivi è il potere antibatterico, infatti aderiscono alle superfici cariche negativamente come le
membrane di molti batteri.
In genere sono costituiti da sali quaternari di ammonio, ma in alcuni casi la testa polare è costituita da un sale piridinio, il controione, invece, può essere il cloruro o il bromuro.
Tra questi tipi di tensioattivi possiamo annoverare il dimetil benzil benzil ammonio cloruro ed il cetil trimetil ammonio bromuro.
Questa classe di tensioattivi oltre che come battericidi trovano impiego come antistatici ad esempio negli ammorbidenti, dove impartiscono delle cariche positive sulle fibre le quali si
respingono, assumendo un aspetto vaporoso e nel contempo i capi trattati risultano piùsoffici al tatto.
Lo stesso meccanismo viene sfruttato per la produzione di balsamo per capelli, il principio attivo all’interno di questi prodotti è sempre un tensioattivo di tipo cationico.
Esistono diversi processi per la produzione dei composti quaternari di ammonio, uno dei più semplici consiste nella reazione tra un ammina terziaria con un alogenuro.
Più specificatamente, il composto quaternario più comune ovvero il lauril dimetil benzil ammonio cloruro (uno dei più diffusi battericidi in commercio), si prepara a partire dal
cloruro di benzile e dalla lauril dimetil ammina
Si tratta di una reazione di sostituzione denominata Sn2

3) Tensioattivi non ionici :
questo tipo di tensioattivi sono così chiamati in quanto non si ionizzano in soluzione acquosa.
I più importanti sono sicuramente gli ALCOLI ETOSSILATI (ottenuti per etossilazione di alcoli superiori) di formula generale:
CH3-(CH2)n-CH2-(O-CH2-CH2)m-OH
dove n varia generalmente tra 10 e 13, mentre il numero di gruppi ossietilenici può variare tra 3 e 9.
Le proprietà degli alcoli etossilati sono fortemente dipendenti dai valori di m e di n. Ad esempio alcoli che possiedono più del 50% in peso di gruppi ossietilenici sono
generalmente solubili in acqua, mentre quelli con meno del 50% in peso sono di solito solubili in olio. Gli alcoli etossilati trovano vaste applicazioni nel settore della detergenza
anche grazie alla loro particolare compatibilità (maggiore rispetto agli anionici) verso gli altri componenti ed additivi utilizzati nei detergenti.
Ricordiamo, inoltre, gli ALCHILFENOLI ETOSSILATI quest’ultimi sono ottenuti per condensazione dell'ossido di etilene o di propilene con un alchilfenolo (come ad esempio i nonilfenoli) e presentano ottime proprietà emulsionanti, detergenti, imbibenti etc. L’uso degli alchilfenoli , tuttavia, è andato via via diminuendo negli ultimi anni a causa della loro
scarsa biodegradabilità.
Tra i tensioattivi non ionici meritano di essere menzionati, per la loro origine naturale e l’elevata biodegradabilità, gli ALCHILPOLIGLUCOSIDI (APG) ottenuti dalla reazione tra uno zucchero (generalmente glucosio) e un alcol grasso.
Per ottenere glucosio si parte spesso da amido (un polisaccaride che idrolizzato da glucosio) derivante da cereali, mentre l’alcol può essere di derivazione naturale (es. acidi grassi di cocco) o sintetica (etilene).
Lo zucchero rappresenta la parte idrofila del tensioattivo, mentre quella idrofoba è costituita dalla catena alchilica la cui lunghezza influenza le proprietà chimico-fisiche
dell’alchilpoliglucoside: catene corte forniscono prodotti dalle ottime proprietà bagnanti,laddove a catene lunghe sono associati elevato potere schiumogeno e notevole capacità
detergente..

4) Tensioattivi anfoteri o zwitterionici:
prendono questo nome in quanto in acqua liberano composti dotati di entrambe le cariche elettriche (positiva e negativa), possono
quindi svolgere azione acida o basica a seconda del pH della soluzione.
Caratterizzati da elevato potere schiumogeno in virtù dei frammenti carbossilici presenti nella molecola
stabili sia in ambiente acido che alcalino, sono compatibili con detergenti cationici, non ionici ed anionici.
Tra questo tipo di tensioattivi possiamo annoverare le betaine utilizzate ad esempio nei bagnoschiuma in virtù delle loro caratteristiche di eudermicità,sono nel contempo degli ottimi stabilizzatori di schiuma.
A questa classe di tensioattivi appartengono anche i propionati e le imidazoline ,sono componenti essenziali nelle formulazioni di sgrassatori per superfici dure, i diproprionati ad esempio manifestano anche proprietà anticorrosive nei confronti dei materiali ferrosi.

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